lunedì 31 dicembre 2012

Carnage


Sgombriamo il campo dagli equivoci: “Carnage” e la commedia da cui è tratto, “Il dio del Massacro” di Yasmina Reza, non hanno niente da spartire con “La cena” Hermann Koch. In entrambe le storie troviamo due coppie che si riuniscono, con scopi diversi, per parlare dei propri figli, ma le somiglianze sono limitate a questi elementi. Le due opere mettono a nudo il lato mostruoso che si nasconde in tutti noi e in particolare nella borghesia benestante, alternativa e radical chic, ma i mezzi sono totalmente diversi e più di una volta il metodo Koch appare più sconcertante.

Due coppie borghesi dunque, i cui figli hanno litigato, e uno ha preso a bastonate l'altro spaccandogli due denti. I genitori del bastonatore vanno a casa del ragazzo picchiato per porgere le scuse e sistemare la faccenda in modo cordiale. Le cose però degenerano rapidamente e i quattro adulti si trascinano in un litigio insensato e senza fine di cui si perde sia la cognizione delle parti che la memoria del motivo che ha scatenato tutto, mentre emergono conflitti archetipici ben più spaventosi di quello dei ragazzi, e le vere identità delle persone coinvolte.
Carnage...
...o Carnage?

La prima cosa che colpisce (subito dopo la sigla, che contiene -incorniciato da una musichetta festosa- l'antefatto che darà l'innesco a tutta la storia) è la scenografia. I genitori del bambino ferito (Jodie Foster e John C. Reilly) sono progressisti, amanti della cultura e dell'arte, dall'aspetto informale, maglioncino senza cravatta lui, gonna sformata sotto il ginocchio e capelli raccolti in una coda lei. Eppure la loro casa è mostruosa, più impressionante dell'Overlook Hotel di “Shining”, una ripetizione infinita del tema del quadrato e del rettangolo che irrigidisce e rende inquietante la pretesa degli ambienti di essere caldi e accoglienti. Basta questo a farci intuire che le cose andranno a finire male.
Kate Winslet e Christoph Waltz incarnano apparentemente la coppia repubblicana, entrambi impegnati in mestieri da squalo, impeccabili nelle loro tenute bianche e nere, le unghie curatissime, i capelli perfetti, il fastidiosissimo telefonino che continua a squillare.
Cercano di piacersi, ma proprio non ci riescono, tuttavia non de la fanno a staccarsi gli uni dagli altri: diverse volte Winslet e Waltz provano uscire dall'appartamento degli odiati Foster e Reilly, ma ne vengono irrimediabilmente attratti, perchè si somigliano nel profondo, lo sanno, e sanno anche di potersi scoprire finalmente solo con questi antagonisti e rivelarsi intimamente per quello che sono.
Ne “Il Signore delle Mosche” William Golding descriveva la degenerazione della società attraverso un gruppo di bambini che rimasti soli, senza le regole dettate dagli adulti, ritornavano ad uno stato selvaggio, primitivo, in cui il debole deve soccombere. Strato dopo strato la loro civiltà (intesa in senso positivo) andava perdendosi, rivelando il cuore mostruoso della natura umana, il suo stato primitivo e reale. Lo stesso in un certo senso fanno Yasmina Reza e Polansky, strappando dai loro protagonisti la patina laccata della buona educazione e del politically correct cavando dalle loro bocche parole sempre più cariche e ridicole, sessismo, volti sempre più esasperati, voci sempre più stridule che sembrano urlare da un luogo di totale disperazione.
La violenza è tutta verbale ed ellittica, a volte dissolta momentaneamente da particolari ridicoli (Christoph Waltz in mutande che si asciuga i pantaloni su cui ha vomitato la moglie, la sua apprensione per il telefonino), non ci sono (e forse me li aspettavo) scontri fisici, c'è antagonismo di genere e contrasti all'interno della coppia, ma non trovano mai sfogo reale (nonostante il vomito) sul corpo dei personaggi. Piuttosto, oltre alle parole, assumono questo ruolo di feticcio gli oggetti, su cui si scatenano la rabbia e la frustrazione.

L'ambientazione tutta in interno e l'impianto teatrale possono far temere una fissità che si trasforma in noia, invece la miracolosa fotografia riesce a muovere il blocco dell'appartamento e ad estrarne immagini dinamiche che contrastano con l'arredamento fatto di linee dritte e spezzate.
Gli attori sono tutti all'altezza del compito, le parti sono state assegnate con perizia, tuttavia non posso non notare che Jodie Foster recita sempre allo stesso modo, e quando si arrabbia la sua faccia si deforma come quella di “Leone Cane Fifone”, mentre Kate Winslet ha certamente un personaggio più sfaccettato e interessante, che muta ruolo col proseguire della vicenda.
Ho una passione per Christoph Waltz e sarebbe facile per me dire che è il più bravo di tutti: è bravissimo e spero che continui ad accettare solo film di alto livello da Hollywood (non è così scontato), ma devo dire che gli è stata affidata forse la parte migliore di tutto il film. Più difficile emergere per John C. Reilly in un ruolo forse più classico per il cinema americano, ma ci riesce e non sfigura affatto accanto a facce molto più note al grande pubblico della sua.
La sigla finale scioglie finalmente la tensione e dà ironicamente il valore che si merita al litigio degli adulti. Un tocco che sarebbe piaciuto a Bunùel.

1 commento:

  1. La recensione mi piace...anche se Polanski non e' certo il mio preferito. Ora capisco perche' la pensi cosi sulla Foster...

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